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Una storia scritta nella neve

Sci

Veröffentlicht am 12.12.2024

È difficile oggi immaginare il panorama dell’Alta Badia senza le curve sinuose delle piste, le tracce lasciate dagli sciatori e gli impianti panoramici che accompagnano le risalite. Eppure, come è invece facile immaginare, piste, sciatori e impianti non ci sono sempre stati quassù.
Corvara, Colfosco, La Villa, Badia, San Cassiano… sono nomi che risuonano nei sogni invernali di tanti appassionati di sci, ma ancora nei primi anni del secolo scorso, questi paesi erano piccoli e soprattutto isolati villaggi di contadini. Mentre le vicine Val Gardena e Cortina già potevano vantare un certo splendore turistico, l’Alta Badia viveva quasi esclusivamente del duro lavoro nei campi dei suoi operosi abitanti. E Col Alto, Piz Boè, Sas dla Crusc, La Varella, Sassongher  – le incantevoli cime tra le quali è incastonata – erano allora per i valligiani solo enormi, crude e quasi invalicabili barriere bianche, immobili nel loro sublime candore e a tratti persino spaventose, soprattutto quando nei rigidi inverni la neve cadeva copiosa e il silenzio della valle significava ancor più solitudine e isolamento. 

Quanto è cambiato da allora: il panorama che ci circonda, certo, ma anche e soprattutto le vite di chi tra queste cime abita ancora, grazie alle idee coraggiose di alcuni pionieri che, nel corso dei decenni, hanno visto per questi luoghi una strada nuova da tracciare, nel bianco splendente della neve.

Ma cos’è poi, questo sci?

Le prime datazioni certe di utilizzo degli sci riportano indietro nel tempo fino a 4-5.000 anni fa. A testimoniarlo, un’incisione rupestre su un’isola norvegese dove si vede uno sciatore indossare sci lunghi tre volte la sua altezza. È dunque nel profondo nord dell’Europa che bisogna guardare, per ritrovare le origini di questi attrezzi oggi a noi così familiari. Certo, l’uso che se ne faceva nei millenni passati era ben diverso, e anche le forme, le fogge e le tecnologie. Eppure, scivolare sulla neve indossando lunghe assi di legno e agganciate ai piedi, è qualcosa di antico quasi quanto la ruota. Arrivate sulle Alpi solo alla fine del XIX secolo, queste strane assi con la punta in su subiscono, tra le mani (e ai piedi) degli abitanti delle nostre montagne, diverse modifiche, per soddisfare pian piano sempre nuove esigenze: perché se dapprima gli sci erano considerati soprattutto “mezzi di trasporto” nelle difficili condizioni degli inverni montani, via via divennero sempre più un indispensabile accessorio per lanciarsi in nuove emozionanti attività sportive, lungo gli irriverenti pendii alpini.

In Alta Badia, i primi ad indossare questi inusuali attrezzi alla fine dell’800, furono Vigil Pescosta e Jocl Castlunger, entrambi di Colfosco. Castlunger, incaricato dall’Associazione Alpinistica tedesco/austriaca (l’Alta Badia allora faceva parte dell’Austria) di costruire una baita sul Gruppo del Sella, andò oltralpe a fare ricerca e scoprì le potenzialità degli sci, rudimentali ma utilissimi strumenti per agevolare il lavoro sulle pendici delle montagne. Da allora, anche qui questa pratica ha iniziato a prosperare e un po’ tutti gli abitanti della valle, gli sci – dai piedi (e dalla testa) – non li hanno tolti più.

Per far sì che ad appassionarsi a questa nuova delizia invernale fossero però anche gli ospiti (il turismo di allora era pressoché solo estivo), nel 1934 a Corvara venne istituita la prima scuola di sci dell’Alta Badia, su impulso di Francesco “Cesco” Kostner, figura chiave nell’evoluzione turistica del territorio e fra i primi, insieme al conterraneo Giustino Sorarù, ad essere insignito del titolo di maestro di sci nazionale dalla FISI (Federazione Italiana Sport Invernali). Poco dopo, nel ’35, nacque grazie al maestro Pire Costa, anche la scuola di sci di La Villa. Poter insegnare ai primi sciatori in arrivo in Alta Badia le tecniche e i segreti dello sci era certo un grande passo per lo sviluppo territoriale, ma molto era ancora da fare. In quegli anni, infatti, la Val Badia non aveva strade asfaltate e spesso nei lunghi inverni nevosi, i percorsi dovevano essere liberati con uno spartineve trainato da cavalli. Fu di nuovo Cesco Kostner, che aveva visto lungo sul successo futuro dello sci, a far si che la valle fosse finalmente raggiungibile, anche in inverno, con mezzi di trasporto che non fossero piedi o cavalli. Ma come far risalire a monte gli impavidi sciatori? La risalita a piedi con le pelli era ardua e appannaggio di pochi temerari, le piste venivano battute a piedi e le condizioni generali erano dunque non proprio agevoli. Per aumentare il numero di discese, era necessario inventare un modo per semplificare l’ascesa. 

Accompagnare la (ri)salita

Figura quasi leggendaria nella nascita dell’industria sciistica in Alta Badia fu Erich Kostner, figlio di Cesco. A raccontarne le gesta, l’impiantista Andy Varallo, Presidente di Skicarosello, del Consorzio Impianti a Fune Alta Badia e di Dolomiti Superski, nonché nipote di Kostner. “Sulle pendici del Col Alt, nel 1938 era stata costruita la prima slittovia, ma per mio nonno non era sufficiente”, racconta Varallo. Una funivia era però uno sforzo economico impensabile per il giovane Kostner e uno skilift troppo poco efficiente. Fu così che Kostner, erede di una famiglia di albergatori e titolari della prima linea di trasporti in valle, mosse tutte le sue conoscenze, anche ben oltre le sue montagne, per cercare fondi e finanziamenti, si rimboccò le maniche, e costruì, persino con le sue mani (“in un giorno salì 8 volte sul Col Alt con i sacchi di sabbia sulle spalle…” ricorda Varallo), la prima seggiovia mai aperta in Italia. Inaugurata nel 1946, la seggiovia del Col Alt era stata assemblata unendo lamiere dei carri armati rimasti dalla guerra, il motore di un trattore della Leitner (oggi azienda leader mondiale nella costruzione di impianti a fune, che prese il via proprio da quell’intuizione di Kostner), il riduttore da un’imbarcazione triestina. Da quella prima impresa coraggiosa, che diede al turismo invernale in Alta Badia un impulso fondamentale e mai più interrotto, tante altre seguirono, ma Kostner – che è stato anche insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro – non approfittò mai del suo ruolo di rilievo, né perse la sua umiltà, il suo senso profondo del lavoro (scomparso nel 2018, era già piuttosto anziano, quando passò il testimone al nipote Andy) e l’amore profondo per la sua terra che così tanto aveva aiutato a crescere. Dopo quel primo impianto sul Col Alt, infatti, molti seguirono, come le prime sciovie a Colfosco costruite da un altro pioniere Gottfried Declara; i primi impianti di La Villa creati da Hermann Pescollderungg e la società La Varella di Alfonso Pizzinini che con una serie di vicissitudini e nuove costruzioni andarono poi a convergere nel comprensorio del Gardenaccia; la cestovia a due posti a La Crusc inaugurata nel 1960 sostituita poi dall’odierna seggiovia; o la funivia della Gran Risa, la celebre pista della Coppa del Mondo, scenario di gare e imprese sciistiche mitologiche. Ma questa è tutta un’altra storia, che un giorno vi racconteremo…

Uniti si scia meglio

Se il luogo comune dipinge i montanari come solitari e ombrosi, forse non ha preso nella dovuta considerazione gli abitanti dell’Alta Badia. Qui, infatti, il luogo più che comune è animato da una comunità, che ha da tempo capito che per contrastare miseria e isolamento è necessario unire gli sguardi e creare percorsi condivisi. “Ogni lavoro, soprattutto nelle terre alte, è prezioso e va rispettato, perché è solo nell’unione di ogni competenza che la montagna si eleva, socialmente e turisticamente, contribuendo al successo e al benessere collettivo”: è ancora Andy Varallo, a riportare i lungimiranti pensieri del nonno Erich. A lui si deve, nel ’46, la fondazione dello Sci Club Ladinia, la creazione della Azienda di Soggiorno di Corvara nel ’53 e la creazione dell’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari (ANEF) nel ’78. E poi ancora, agli inizi degli anni ‘80, insieme ad altri montanari visionari, fu ancora Kostner a immaginare di unire diversi impianti dell’Alta Badia in un unico consorzio, che collegasse i paesi di Corvara, La Villa e San Cassiano. Nacque così il celebre Skicarosello Corvara che riunisce 5 società del settore funiviario. Non era però il primo sforzo verso un’unificazione – non solo degli impianti di risalita e dei comprensori turistici, ma anche delle comunità montane – che vedeva la luce da queste parti. Già negli anni ’60 era nata l’idea di connettere diverse aree sciistiche delle Dolomiti, unendole in termini non solo logistici (un unico skipass) ma anche organizzativi e sociali. Il progetto si concretizzò nel ‘74 quando – ancora una volta su impulso di Kostner – prese vita l’associazione Superski Dolomiti (oggi Federconsorzi Dolomiti Superski). 250 gli impianti che aderirono, sparsi in 6 valli dolomitiche. E dopo 50 anni, i sogni dei pionieri si possono dire pienamente realizzati, visto che Dolomiti Superski è oggi (12 valli, 450 impianti, 1200 km di piste) considerato un’eccellenza a livello mondiale. Quel che rende questo consorzio vincente non è solo la meraviglia delle Dolomiti che gli danno casa e nome, ma anche e soprattutto la capacità che i tanti attori coinvolti (tra loro concorrenti) hanno avuto di portare avanti una visione condivisa. Eliminando i confini geografici, senza dimenticare le peculiarità di ogni territorio, Dolomiti Superski infatti si fonda sulla fiducia reciproca e sul desiderio di instaurare un dialogo proficuo, lavorando ognuno al proprio meglio.

 

E dopo lo sci, finalmente la festa

In principio fu il tè danzante. Quando ancora gli sciatori erano pochi e in inverno salivano a monte soprattutto per godersi sole e panorama, dalle 17 alle 19 il Rosalpina di San Cassiano offriva ai suoi ospiti un delizioso momento di svago. “Abbiamo avuto l’orchestra fino al 1993 – ricorda Paul Pizzinini, titolare del noto hotel – poi gli sciatori si sono fatti più numerosi e soprattutto hanno iniziato a sciare più a lungo, per rientrare in albergo solo verso sera”. Ecco perché alcuni alberghi si attrezzarono per offrire uno svago ai propri ospiti organizzando indimenticabili feste nelle taverne. Mentre ad animare i tramonti e le serate direttamente sulle piste, nacquero sempre più rifugi e après-ski, molti dei quali ancora oggi aperti e frequentati. Tra questi spicca il Club Moritzino, storico locale sulle pendici del Piz La Ila, probabilmente uno dei più amati e rinomati dell’arco alpino. “Tutto è cominciato perché sono stato bocciato alla maturità”: esordisce così Moritz Craffonara, instancabile anima del club che porta il suo nome. Quel fallimento scolastico, infatti, portò il giovane Moritz ad aprire alla fine degli anni ‘60, un rifugio, invece che scegliere un altro lavoro e un'altra vita. Questo luogo iconico, che ha dato il là anche a molti altri, è un fondamentale tassello dell’evoluzione dello sci in Alta Badia, perché non di sole piste vive lo sciatore in vacanza. “Bisogna anche divertirsi”, sorride Craffonara, e da allora a oggi, sono stati tantissimi a farlo, al Moritzino. Tra questi, anche personaggi illustri come gli attori Diether Krebs e Massimo Lopez, l’Aga Khan (“era un bravo sciatore” …) o il fotografo e imprenditore Günter Sachs, ex marito della diva Brigitte Bardot, che, stufo di mangiare “solo” minestrone e würstel, diede l’idea a Craffonara di differenziare l’offerta gastronomica alzandone sempre di più lo standard. Ma non solo cibo gourmet, anche e soprattutto musica dal pomeriggio fino a notte inoltrata, balli e tanto divertimento, appunto. Lo stesso Craffonara, oggi felice ottantenne, non si è mai tirato indietro davanti a un buon festeggiamento, e questo suo lasciarsi coinvolgere, trattando ogni ospite come un amico – insieme a una giusta dose di follia (parole sue) – è sicuramente il segreto del suo successo. E se la consacrazione del club è arrivata negli anni ’80, sulla scia della Coppa del Mondo che ha portato in valle sempre più sciatori, il Moritzino (oggi gestito dal figlio Alexander) continua a prosperare, anche perché, come puntualizza Craffonara “il momento migliore è adesso”.

Anna Quinz è creative director e cofondatrice dell'agenzia di comunicazione e casa editrice franzLAB e della rivista di cultura contemporanea nelle Alpi franzmagazine.com. Da molti anni si occupa di marketing territoriale e di editoria, con particolare attenzione alla ri-narrazione della montagna e del turismo alpino.

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